Oggi ho finito di leggere un libro che la mia Maestra del te ha consigliato a tutti noi studenti.
È una lettura molto leggera, nulla di filosofico come ci si potrebbe aspettare da una donna che insegna la cerimonia del te.
Mi sono ritrovata moltissimo in ogni singola parola dell’autrice, Morishita Noriko, che ha raccontato nel libro “Ogni giorno è un buon giorno” i suoi venticinque anni di lezioni.
Quando la Maestra ci ha consigliato il libro ha detto le stesse parole che ci ha detto quando la sua prima studentessa giapponese si è unita alle nostre lezioni, ovvero che molti giapponesi non sanno nulla della cerimonia del te, il Cha no yu, quindi non dovevamo aspettarci chissà che bravura da parte di una giapponese (iniziava quel giorno il suo percorso).
Non voleva giustificarla, voleva solo sottolineare il fatto che sarebbe stata dinoccolata esattamente come noi e avrebbe sbagliato esattamente come noi… perché la cerimonia de tè non è qualcosa che deriva dall’essere giapponese, ma è semplicemente una cerimonia da cui deriva un modo di pensare e di fare.
Metti la cera togli la cera
Sono solo due anni che ogni lunedì con Federico facciamo la cerimonia. Tutto è partito dal semplice piegare un fazzoletto, fukusa, oggi è un otemae completo, semplice, molto base, ma completo… ha dentro i suoi perché, i suoi respiri, il bollitore e l’intera mattinata che la Maestra dedica alla preparazione di una lezione, oltre che la mia mezz’ora per indossare un kimono che è un buon aiuto per creare il vuoto che mi servirà non appena aprirò quella porta per annunciare che inizierò la mia cerimonia.
Oggi quando ho chiuso il libro ho proprio pensato al modo di pensare e ai riti che mi portano allo svolgere tutto l’intero otemae riuscendo a respirare a non pensare e a fare il mio te per i miei ospiti.
Ovviamente i venticinque anni di lezione dell’autrice del libro non sono paragonabili ai miei due anni e sono certa che se tra 5 anni dovessi riscrivere questa pagina ci sarebbero molti cambiamenti, anche tra 15 o 30 anni; ma io sono qui e ora, come ripete spesso Noriko San nel libro, come le ripete la sua Maestra tutti i sabati e come ripete ogni lunedì la nostra Maestra.
Ricordo ancora le primissime cerimonie che provavo a fare… ero impacciata e non ricordavo nulla, seguivo la voce della Maestra che mi guidava passaggio per passaggio. A casa non ho mai ripassato, se non poche volte e solo per momenti importanti dell’anno; sono sempre stata una pessima studentessa in generale.
Oggi, dopo due anni, l’otemae lo faccio quasi senza errori, mi perdo dei piccoli passaggi e nel tempo sto capendo il perché me ne dimentico… e ogni volta che me ne dimentico la volta successiva ho interiorizzato e quell’errore svanisce, non lo faccio più. Buffo, la volta prima non so fare una cosa, la volta dopo so farla scoprendo anche il perché si faccia.
Imparare aspettando di imparare
La cerimonia del te, riferendomi all’otemae più semplice di tutti, è l’ottimizzazione che diventa estetica, che diventa zen. Semplicità ed eleganza si mescolano rendendo tutto fluido, ma finché non arrivi a capire il perché di alcune cose sei solo impacciata e un groviglio di pensieri.
La Maestra non ci ha mai spiegato il perché delle cose, inizi con imparare a piegare due diverse stoffe (fukusa e chakin) che servono in due differenti momenti della cerimonia, ma poi passi subito a fare un’intera cerimonia, dall’entrata all’uscita della stanza.
Non è come a scuola, che ripeti piccoli pezzi di qualcosa, di una coreografia, di una poesia, di un processo… qui impari aspettando di imparare.
Del resto, come dice anche il libro “A scuola si impara a ragionare in modo da dare la risposta giusta stabilita in un tempo stabilito. Più la risposta è esatta e rapida, più è valutata, e se superi un tempo stabilito o dai una risposta sbagliata o, ancora, non riesci ad abituarti a questo sistema, ti danno un punteggio basso”.
Questo non esiste nella cerimonia del te, perché non ci sono limiti di tempo. Non esiste una risposta giusta o una sbagliata.
La semplicità è la massima sofisticazione
Cit. Leonardo Da Vinci
Strano, siamo abituati a vedere la cerimonia come qualcosa di aulico, di lontano…ma questo perché la cultura moderna (universale) ci impone un obiettivo, esattamente come ci impone i nemici.
La cerimonia del te è in realtà molto più libera di come appare, ma diventa libera solo nel momento in cui è libera anche la mente, dopo gli errori, la ricerca insensata dei perché e le apnee.
Quando facevo danza avevo un obiettivo, quest’obiettivo lo sognavo ogni notte, lo piangevo ogni giorno, lo rincorrevo 24 ore su 24, finché era talmente estenuante che l’ho abbandonato, perché ho scoperto che quell’obiettivo mi aveva allontanata dal motivo per cui facevo danza.
Quando ho iniziato la cerimonia del te non avevo nessun obiettivo, non sapevo se ce ne fossero, se dovevano essercene. Ho deciso di non averne, perché l’esperienza fatta prima mi aveva logorata dentro e fuori.
Non voglio avere obiettivi, perché non voglio competere nemmeno con me stessa.
“Oggi farò meglio” non è una frase che mi ripeto fingendomi coach di me stessa. Non dico nulla, perché non devo essere nulla. È solo un semplice te, un momento con me stessa… qualcosa che alcuni definiscono Zen, che molti mistificano.
– Un obiettivo è lo scopo di un’azione o di un’iniziativa; il risultato che ci si propone di ottenere (Faccio la cerimonia del te per arrivare ad essere impeccabile e fare cerimonie complesse).
– Il motivo è ciò che spinge a fare o a non fare qualcosa (Faccio la cerimonia del te per avere un momento per me stessa e crescere).
Sono ben diversi.
[…] nella cerimonia del te ci si confronta con il se stesso di ieri.
La cerimonia del te un po’ ti cambia, anzi molto, ma non ricerco il cambiamento, ho sempre mal sopportato il “cercare”, ciò non vuol dire che non voglio imparare o non voglio crescere… voglio i miei tempi, voglio che quella sensazione di fare senza pensare giunga in molte delle cose che faccio.
“Ciò cui mirano sia la scuola che il te è la crescita della persona. Però con una importante differenza: a scuola ci si confronta con l’altro, mentre nella cerimonia del te ci si confronta con il se stesso di ieri” cito dal libro.
Credo che questo sia fondamentale per molte cose nella vita e ringrazio ogni giorno i miei genitori per avermi insegnato la cerimonia del te senza nemmeno conoscerla.
L’apprendimento è il miglior modo per conoscere se stessi, ma per crescere penso sia necessario vivere il presente, consci del passato e accettandone gli errori e soprattutto i traguardi, ma senza l’ansia del futuro perché oggi il nostro concetto di futuro è fortemente connesso con la parola competizione che però passa attraverso gli altri e mai davvero verso l’accrescimento di se stessi.
Nell’immagine di copertina: Shōrin-zu byōbu, Hasegawa Tōhaku