Il termine Kinbaku comparve per la prima volta in forma scritta nel 1952 sulla rivista “Kitan Club”. È una parola di origine cinese, e quindi ha un suono più formale dell’analoga parola giapponese “shibari“. Entrambi i termini vengono usati in Giappone per indicare il bondage fatto con le corde. Per le differenze linguistiche tra le due parole puoi leggere questo articolo sul nostro blog.
Su questa pagina troverai le risposte ad alcune domande che potrebbe porsi di chi si approccia per la prima volta a questa disciplina:
- In cosa consiste la bellezza del kinbaku?
- Come si può trovare bellezza nella sofferenza?
- In cosa consiste il rapporto tra due persone che vivono insieme una sessione di kinbaku?
- Cosa spinge i praticanti a cimentarsi in una sessione di kinbaku?
La bellezza del kinbaku
Kinbaku significa propriamente “legatura stretta”. Alcuni intendono l’aggettivo “stretto” nel senso di “che rende del tutto impossibile il movimento”. In questa sensazione di totale costrizione – alla quale ci si deve necessariamente abbandonare – dobbiamo cercare la bellezza del kinbaku.
In occidente i neofiti spesso cercano la bellezza del bondage negli schemi geometrici che le corde disegnano sul corpo. Secondo i canoni dell’estetica giapponese – al contrario – la bellezza si trova proprio nella ruvida imperfezione di ciò che è irripetibile. I maestri della cerimonia del the cercano di assaporare l’irripetibilità del momento presente (“Ichi go – Ichi e”); i migliori praticanti di kinbaku, cercano di valorizzare attraverso la corda le emozioni condivise in un attimo che non tornerà mai più.

Ordine e caos nell’estetica del kinbaku
Un disegno geometrico colpisce l’occhio in modo deciso, in una maniera che i giapponesi chiamerebbero hade (派手); tuttavia esiste – secondo gli esteti giapponesi – un’eleganza più ricercata. In Giappone, l’ammirazione più grande va alla bellezza sottilmente suggerita, al soggetto che delicatamente emerge da uno sfondo apparentemente uniforme. Il paesaggio più ammirato, è quello innevato. La neve, uniformando tutto lo sfondo, valorizza il soggetto che in maniera sottile ne emerge, suggerendo soltanto la propria presenza.
Allo stesso modo la legatura più apprezzata è quella in cui nessuna corda colpisce banalmente l’occhio dell’osservatore; quella in cui le corde che non mostrano esplicitamente un ordine definito, ma un’armonia che si può cogliere soltanto dall’insieme. Dall’armonia uniforme delle corde, emerge in modo delicato la persona legata, persa nell’universo della propria fantasia; passiva e compostamente rassegnata alla sofferenza che sta esperendo.
La bellezza del kinbaku è quella del corpo della persona legata, sfidato dalla corda; di una goccia di sudore che imperla la fronte per la fatica; dell’espressione abbandonata di chi sta vivendo un’esperienza emozionale, prima che fisica.

Estetica della sofferenza
La quieta accettazione della sofferenza è uno degli aspetti più apprezzati dagli estimatori del kinbaku. La radice di questo apprezzamento va cercata nella dinamica che si crea tra chi lega e chi viene legato. La ricerca di una persona da legare che sia incline a “sopportare il dolore” è certamente troppo rozza perché se ne possa stare a parlare. Non stiamo parlando di un dolore da sopportare, ma di una sofferenza da vivere insieme.
Nel kinbaku, la persona che lega e quella che viene legata, restano unite da una profonda empatia, e superano insieme un momento che sfida il corpo e la mente di entrambi. Il dolore non deve essere sopportato, ma vissuto. L’accettazione della sofferenza creata dalle corde diventa lo specchio della contemplazione della caducità delle cose: non è forse la sofferenza stessa a ricordarci austeramente la nostra condizione mortale? Non è forse dal superare un momento di sofferenza che nasce la gioia più grande? Allora come non trovare bellezza nell’interazione tra due esseri umani che insieme contemplano la propria transitorietà attraverso un momento di sofferenza condivisa e superata?
Kinbaku: due persone, un solo spirito
Il Kinbaku è un momento di condivisione. Due persone mettono la propria anima a nudo l’una di fronte all’altra. Il presupposto è chiaramente una fiducia totale nell’altro. Chi viene legato deve sapere che chi lega si prenderà cura della sua incolumità fisica e psicologica; chi lega deve essere certo della sincerità di chi viene legato sui propri limiti, sulle proprie paure, sul proprio stato di salute.
Molto spesso i legatori occidentali mettono al primo posto la serie di posizioni che faranno assumere al corpo della persona legata durante la legatura. I giapponesi al contrario ricercano più spesso l’intensità dell’esperienza emotiva. Il Maestro Yukimura Haruki disse che legare è come accompagnare la persona legata nell’universo della sua fantasia. Legare diventa come esplorare insieme un Paese delle Meraviglie che si trova nell’animo di chi viene legato.
Non si tratta di un’esplorazione semplice. Si possono sfiorare le paure e i traumi più nascosti nell’animo di una persona che si trova ad essere inerme davanti a chi la lega. La persona che lega affronta questo viaggio affardellata del proprio bagaglio di insicurezze e di frustrazioni; cammina in una foresta dove crescono fiori delicati, e rischia facilmente di rendere indesiderabili le tracce del proprio passaggio.
Il fascino di ciò che intimorisce
Cosa spinge due persone ad affrontare tutto questo? Le rispose sono ovviamente tante quanti i praticanti, ma in generale è innegabile che – specialmente quando parliamo di kinbaku – quello che un poco spaventa, molto spesso affascina.
Una sessione è un’occasione per condividere e superare insieme un’esperienza difficile. È qualcosa che crea un legame forte tra i due partner. Nelle parole di Naka Akira “È come scalare una montagna insieme”. L’intensità delle sensazioni, e la profondità dello sforzo emotivo lasciano entrambi i partner in uno stato di grazia, consapevoli di se stessi e l’uno dell’altro.
La bellezza della condivisione tuttavia non fa passare in secondo piano l’importanza del vissuto personale di ciascuno dei due.
Motivazioni individuali dei praticanti
Per chi si fa legare, la cessione del controllo è spesso una fonte di rilassamento, e una valvola di sfogo per le pressioni indotte da una vita professionale piena. La durezza dell’impegno fisico agisce sull’autostima e per molti è un mezzo per accrescere la fiducia in se stessi.
Per chi lega è meraviglioso contemplare il dono della fiducia di chi viene legato; inoltre, la consapevolezza di essere i principali fautori dello stato di grazia e abbandono in cui versa una persona dopo una buona sessione di kinbaku è per molti fonte di un profondo godimento interiore.
Per coloro che hanno la giusta disposizione d’animo, il kinbaku è un’esperienza profonda, che con il passare del tempo diventa persino irrinunciabile. Ogni sessione è un momento per arricchire spiritualmente se stessi e l’altro; ogni legatura è un’occasione di cementare ancora di più il rapporto tra i due protagonisti.
Spesso è difficile che un corso di kinbaku sia sufficiente a far comprendere tutti questi concetti. Per questo abbiamo deciso di trasformare il nostro progetto “School of Rope” in un vero punto di incontro. Una scuola di bondage che gli studenti possano frequentare ogni settimana, imparando non solo le tecniche necessarie per legare, ma anche le abilità che servono per creare il contesto di una buona sessione di kinbaku.
Kinbaku e fotografia
Il kinbaku è stato rappresentato sin dai suoi albori in magnifiche fotografie, potenti e drammatiche. Proprio realizzando queste fotografie, i precursori di questa disciplina hanno dato vita alle forme iconiche che oggi conosciamo.
Suggeriamo di approfondire partendo dalle biografie dei primi maestri di cui ci siano rimaste tracce. Tra loro:
- Itou Seiu
- Minomura Kou
- Nureki Chimuo
- Akio Fuji
- Sugiura Norio
Ancora oggi, la fotografia è un mezzo importante nella diffusione dell’apprezzamento di questa disciplina. Rope Tales si occupa di mantenere viva questa tradizione attraverso il progetto Yugen Studio Magazine. Si tratta di una pubblicazione trimestrale realizzata presso il nostro studio, avvalendosi della collaborazione dei nostri studenti, ma anche di stimati professionisti del settore.