Quando Kirigami mi disse per la prima volta che aveva deciso di fare la cerimonia del tè io ero via da Milano per un lungo periodo.
Ne sono stata un po’ gelosa, ma sarebbe stata solo una prima lezione.
Era entusiasta, sembrava un bambino al primo giorno di scuola.
Ha fatto la sua prima lezione completamente da solo con una maestra giapponese ormai da molti anni a Milano.
Al mio rientro abbiamo deciso di iniziare insieme a frequentare le lezioni.
Sono sempre stata attratta dai riti, da tutto ciò che ha una coreografia. Ho fatto 17 anni di danza classica, tutto ciò che comprende corpo e mente, strettamente legati con l’eleganza, mi affascina.
Non avevo mai visto nessuna cerimonia del te, mi sono informata poco, ho sempre visto delle foto, che in realtà non sono poi altro che un attimo di una lunga cerimonia.
La prima volta nella stanza del te
Mi sono sentita come credo si sentano i nostri studenti a scuola.
Ho messo il mio vestito bianco a fiori, ho fatto uno chignon, messo i tabi in borsa e siamo andati alla mia prima lezione di cerimonia del te.
Arrivati davanti alla casa della maestra ero agitata, Federico (Kirigami) mi aveva spiegato qualcosa della cerimonia, ma mi aveva detto molto poco di come comportarmi e conoscendo qualche precetto della cultura giapponese avevo paura di sbagliare, di essere impacciata e addirittura scortese. Nella mia testa mi ripetevo comunque che la maestra avrebbe capito che i miei errori sarebbero stati causati principalmente dalla mia inesperienza.
Quando ha aperto la porta ero imbarazzata, mi sono inchinata ho aspettato che mi facesse segno di entrare e sono entrata in questa sua piccola casetta.
All’entrata c’è quello che possiamo definire un atelier. Dipinge, anche molto bene, ha una particolare passione per Canova e quando me ne accorgo mi brillano gli occhi, non solo perché combacia perfettamente con il mio gusto, ma anche perché questo mi conferma molte cose legate alle mie ricerche sull’estetica.
Mi tolgo le scarpe, metto i tabi, infilo le pantofole e aspetto. Accanto a me Federico è già più a suo agio. Qualche minuto dopo arriva anche un’altra ragazza che insieme a noi farà la lezione. Anche per lei è la prima volta. Quando tutti e tre siamo pronti scendiamo le piccole e strette scale che ci portano alla stanza del te.
La cerimonia
Fede fa il primo ospite, per cui tocca a lui per primo entrare. La maestra gli mostra come fare e lui esegue alla lettera, un po’ impacciato e scomodo nei vestiti.
La maestra mostra poi a me come entrare nella stanza, come camminare, come inchinarmi e come mettermi in seiza. Io ci provo. Guardando sembra di dover ripetere una coreografia a memoria, dei movimenti che appaiono senza senso.
Ci provo.
Mi metto in seiza sui tatami e con i pugni a terra entro nella sala del te, mi inchino. Mi alzo lungo la diagonale che mi è stata segnata, cammino verso la calligrafia e mi rimetto elegantemente in seiza, guardo la calligrafia e mi inchino, guardo i fiori e mi inchino…
Mi alzo e mi giro, torno indietro per fare una nuova diagonale, poi vado verso il kama (il bollitore), mi metto in seiza, mi inchino e mi rialzo per poi andare al mio posto, accanto al primo ospite.
Quando tutti e tre siamo in seiza la maestra inizia la sua cerimonia, si interrompe solo all’inizio per dirci che se non riusciamo a stare in ginocchio possiamo sederci sui piccoli sgabelli che ha creato apposta per noi occidentali, sottolinea che sarà faticoso.
Ogni movimento che fa lo spiega, ma non dice il perché, dice solo cosa e come.
I suoi movimenti sono controllati, eleganti, morbidi e fluidi.
Io sono li seduta, cerco di memorizzare ma faccio fatica. Fede fa tutta la sua cerimonia da primo ospite, sbaglia qualcosa e la ripete, quando fa qualcosa particolarmente bene lei glielo sottolinea e si stupisce tutte le volte che lui anticipa con naturalezza un movimento, come quello “semplice” del prendere le bacchette per poi riporle. Lei è quasi affascinata da quel gesto, non se lo aspettava, pare sia un errore comune tra noi occidentali.
Questa cosa chiaramente mi mette ansia, penso di dover osservare ancora meglio i gesti per sbagliare il meno possibile.Sarà passata quasi mezz’ora e le mie caviglie iniziano a soffrire, sia Fede che la ragazza di fianco a me sono già seduti sugli sgabellini, ma è il mio turno per cui resto in seiza.
La maestra ricomincia con tutti i movimenti per pulire il chawan (la tazza per bere il te), poi riprende con la preparazione del mio te matcha.
Ora tocca a me bere, guardare la tazza, girarla, metterla giù, girarla e restituirla. Il tutto con movimenti eleganti e con tanto di sofferenza; un piede non lo sento proprio più, infatti quando devo alzarmi esito e poi lo faccio.
Quando poi anche la terza ragazza finisce di bere il te la cerimonia si conclude con la maestra che pulisce tutti i suoi strumenti. Ci lascia un momento per poter fare delle domande; solitamente si fanno domande sul set della cerimonia, sugli strumenti. Noi ne poniamo tutti qualcuna in più e lei risponde molto cortese.
Finiamo la cerimonia, ci salutiamo con cortesia e andiamo a casa.
Piegare il chakin
Qualche settimana dopo siamo nuovamente li. Questa volta siamo solo io e Fede.
Subito ci mettiamo a piegare il chakin (un tovagliolo), perché la maestra vuole così. Non sapevo nemmeno a cosa servisse, ma non ho chiesto. Ho eseguito alla lettera circa 10 volte tutti i passaggi.
Finita questa prima parte scendiamo nella sala del te.
Questa volta tocca a me fare il primo ospite.
La maestra per fortuna è clemente e mi mostra nuovamente come entrare, come muovermi, come e dove sedermi.
Faccio tutto, sbaglio qualcosa, la riprovo.
Entra poi Federico.
Tocca poi alla maestra che nuovamente ripete tutto il rito come la prima volta.
Quando finiamo non resisto e inizio a farle qualche domanda, cercando di limitarmi. Ho capito che chiedere non è troppo cortese, ma penso che comunque lei sia anche abituata a noi occidentali e al fatto che impariamo in maniera diversa dai giapponesi.
Ogni volta che faccio qualcosa penso sempre ai miei studenti, a come possano sentirsi loro, paragono il mio singolo momento della cerimonia a un momento loro a scuola.
Cerco di imparare i gesti della cerimonia del te, ma cerco anche di tornare studente, una studentessa generica ma occidentale, davanti a una disciplina orientale.
Non è per nulla semplice.
Non è paragonabile alla danza classica come metodologia; come eleganza, come movimenti, come tempistiche sì, ma non come metodo. Non credo sia paragonabile a nessuna disciplina delle nostre.
Femminilità ed eleganza in Giappone
Tra le poche domande che mi limito a farle c’è quella su uno specifico movimento, è un gesto che le donne fanno diversamente dagli uomini per spostarsi mentre sono in seiza, per ruotare. Le chiedo se è per via del kimono, perché mi sembrava una valida “giustificazione”, lei mi risponde con una sola frase: “è più bello ed elegante”.
Qui mi si apre un mondo. Non ha detto molto, anzi nulla penserete. Invece no.
Un gesto, una spiegazione semplice. Nulla di più.
Non credo di poter trovare subito una interpretazione di grande valore nella cosa in se, forse gli anni di danza mi facilitano la comprensione, eppure ho scelto di accettare la risposta e non prenderla così alla leggera, perché effettivamente quel gesto così semplice, fatto di economia dei movimenti, fatto con la giusta angolazione ed eleganza è perfetto così com’è. È bello, non c’è poi molto da aggiungere.
Non so nulla della cerimonia del te, tre volte non sono sufficienti per conoscere un rito così minuzioso; ammetto di avere tanta curiosità, ma soprattutto voglia di riuscire a raggiungere naturalezza nel gesto, di renderlo mio, svuotato da una struttura tecnica per renderlo fluido, come quando il gesto del legare finalmente diventa secondario e valorizza la fatica, l’eleganza, la bellezza di un corpo.